Un’altra bomba sulla giunta regionale lombarda. La fondazione Gimbe, leader nella ricerca sulla sanità, avvisa: i dati ufficiali sul contenimento dell’epidemia in Lombardia non sono attendibili.
La notizia è tanto rumorosa quanto vicina alla data di domani: entro le prossime ventiquattro ore il governo dovrà infatti decidere, tenuto conto dei dati sull’andamento epidemico, sull’apertura agli spostamenti tra le regioni. E sul tema si è già alzato il fuoco amico e polemico di governatori e sindaci.
La denuncia della fondazione Gimbe è chiara e circostanziata. La percentuale di positivi, nella regione governata dal leghista Fontana, è in realtà più alta di quella comunicata. E in Lombardia non è ancora stato effettuato un tamponamento massiccio.
Se si tenessero in considerazione soltanto i test “diagnostici” e si escludessero dal computo generale i tamponi che sono stati eseguiti per confermare la guarigione o perché s’era reso necessario ripetere il test, verrebbe fuori una percentuale di tamponi positivi che è ben più alta di quella della media nazionale (6% contro 2.4%). L’ultimo dato comunicato dalla Lombardia portava invece in dote un dato ben più basso, dell’1.7%.
E quanti sarebbero davvero i casi confermati se in Lombardia si facessero molti più tamponi di quelli fatti fino a oggi? È davvero difficile rispondere a questa domanda ma non è implausibile ipotizzare che i dati di oggi siano sottostimati. I tamponi “diagnostici” per 100 mila abitanti in Lombardia sono 1.608, contro i 1.800 veneti o i 4.000 valdostani e trentini.
Insomma i dubbi persistono e la discussione sulle riaperture si infuoca. È opportuno che la Lombardia riapra così presto i propri confini? A maggior ragione considerando che come ha detto Nino Cartabellotta, medico e presidente della fondazione Gimbe, ai microfoni di Radio 24 v’è “il ragionevole sospetto che la Lombardia aggiusti i dati per paura di un altro stop”.
“Si sono verificate troppe stranezze sui dati nel corso di questi tre mesi: soggetti dimessi che venivano comunicati come guariti andando ad alimentare il cosiddetto silos dei guariti; alternanze e ritardi nella comunicazione dei dati, cosa che poteva essere giustificata nella fase dell’emergenza quando c’erano moltissimi casi ma molto meno ora, eppure i riconteggi sono molto più frequenti in questa fase 2”.
Insomma: “è come se ci fosse una sorta di necessità di mantenere sotto un certo livello quello che è il numero dei casi diagnosticati”. Forse al fine di ottenere un regime agevolato quando si sarebbe dovuto trattare delle riaperture. Spetta adesso al governo prendere la decisione giusta.